Per eliminare l’attesa fino a 5 anni della liquidazione servono 14 miliardi. Tridico: «Costo alla nostra portata»
La speranza per i dipendenti pubblici, forse più di una speranza, l’ha accesa a sorpresa il presidente uscente dell’Inps Pasquale Tridico. L’occasione è stata la conferenza di “congedo” dalla guida dell’Istituto che sta per essere commissariato dal governo. Tridico durante l’incontro ha spiegato che, il giorno prima, l’Inps ha approvato un bilancio con i fiocchi. L’eredità che lascia al suo successore è un avanzo di esercizio di oltre 7 miliardi e una situazione patrimoniale netta positiva di 23 miliardi. Mai i conti dell’Inps erano stati tanto solidi.
La domanda, insomma, è sorta quasi spontanea. Ma con questi numeri ha ancora senso pagare il Tfs, il trattamento di fine servizio, agli statali con anni di ritardo e a rate? Una misura introdotta anni fa per risanare la finanza pubblica. In effetti no. Ricominciare a pagare immediatamente la liquidazione ai dipendenti pubblici che lasciano il lavoro, dice Tridico, «è un costo alla nostra portata». La risposta non solo non è scontata, ma nella direzione esattamente opposta a quella sostenuta dagli avvocati dell’Inps e dello Stato nell’udienza davanti alla Corte Costituzionale del 9 maggio scorso. La questione delle norme che differiscono fino a 5 anni il pagamento del Tfs ai dipendenti dello Stato, è finita davanti ai giudici supremi grazie alle lunghe battaglie di alcuni sindacati tra cui Unsa-Confsal. Il 9 maggio scorso si è arrivati all’ultimo atto. La Corte deve dire se è legittimo ritardare il pagamento anche a chi è andato in pensione di vecchiaia, ossia una volta raggiunti i 67 anni di età. L’Inps ha spiegato che se i giudici decidessero di dare ragione ai sindacati, l’Istituto dovrebbe mettere a bilancio una spesa di 14 miliardi di euro. Gli avvocati dello Stato hanno paventato il più classico dei buchi nei conti dello Stato e hanno invitato i giudici a tenerne conto.
Una linea di difesa che adesso rischia di crollare. Tridico ha ricordato il forte avanzo di quest’anno nei conti dell’Istituto e, dunque, ha parlato di un «costo alla nostra portata». Del resto, ha spiegato ancora, «è qualcosa che è già entrato nelle nostre casse» e quindi è solo un problema di «anticipazione» delle risorse. I soldi per pagare la liquidazione insomma ci sono.
L’Istituto, inoltre, ha ricordato lo stesso presidente uscente, ha messo in campo uno strumento che permette di anticipare a prezzi calmierati tutto l’importo del Tfs ai dipendenti che ne fanno richiesta. Ma si tratta di una risposta limitata nei fondi e comunque che ha un costo, seppure ridotto solo all’1,5 per cento, per chi ne usufruisce.
IL PROBLEMA
Il problema del pagamento posticipato delle liquidazioni ai dipendenti pubblici, oggi è aggravato anche dalla ripresa dell’inflazione. Un conto è infatti, ricevere il trattamento di fine servizio con due o tre anni di ritardo quando i prezzi sono fermi, un conto è riceverlo posticipato con un’inflazione a due cifre. Inevitabilmente si otterrà una somma “svalutata”. Una sorta di “contributo di solidarietà” per tenere in equilibrio la finanza pubblica posto però a carico soltanto dei dipendenti dello Stato.
Si vedrà nei prossimo giorni quale sarà la decisione della Corte Costituzionale. Quante persone riguarderà la sentenza? Tutti e 3,2 milioni statali in prospettiva. Comunque sia, le pensioni dei dipendenti pubblici liquidate nel 2022 sono state 155.945 con un calo del 9,4% sul 2021 quando era ancora in vigore Quota 100, e gli importi medi sono di 2.064 euro, in aumento del 2 per cento. Numeri non da poco. (FONTE IL MESSAGGERO)